04/04/2024 Pensieri sparsi
L’importanza degli autori classici nell’epoca delle mode letterarie.
La paura di perdersi e l’importanza di trovare la propria strada, làitmotiif dell’ adolescenza.
La discriminazione delle copertine ‘scialbe’. Che crudeltà!
Data la mia adorazione per la letteratura gli ambienti che quotidianamente frequento sono quelli che di essa sono impregnati: quindi librerie, la biblioteca del triste quartiere in cui vivo, la mia cucina dove nella seconda ora dell’alba mi dedico alla lettura di un paio di libri contemporaneamente, i blog che parlano di libri, di narrativa, di autori emergenti e che pubblicano racconti. Noto, quindi, che la tendenza d’oggi di chi orbita intorno al mondo della editoria è quella di convogliare l’attenzione del lettore verso libri che vengono pubblicizzati come le storie più sensazionali che siano mai state scritte. Con la sottointesa promessa per il lettore di provare sublimi emozioni. E dei classici, non si parla più? Austen, Kipling, Bulkakov, come Manzoni, Verga, Sciascia rappresentano un passato ormai da archiviare?
Pertanto, quando più di un mese fa finii di leggere il ‘Giovane Holden’ di J. D. Salinger, decisi di non parlarne perché ad un pubblico moderno, educato a seguire i clamori e le mode letterarie, quel racconto sarebbe potuto sembrare fuori moda e fuori tempo. In realtà, passato il punto fissato dal segnalibro (quel libro, iniziato a leggere per la prima volta anni sei anni indietro, da quell’epoca era stato miseramente abbandonato sullo scaffale della mia libreria) constatai che la scrittura era scorrevole e per nulla ermetica e chiedendomi perché diamine non avessi continuato a leggerlo, mi rammaricai del fatto che ancora una volta ero stata superficiale a giudicare il libro dalla copertina.
A lettura ultimata, realizzai anche che la storia del sedicenne Holden Caufield era molto attuale: sconvolto per la prematura morte del fratello minore, l’adolescente Holden sviluppa una forma di ipercritica e cinica insofferenza verso la scuola, gli insegnanti, i genitori e le istituzioni in generale. Cacciato la seconda volta per scarso rendimento, senza darne comunicazione ai genitori, Holden fugge dall’Istituto Pencey e vaga per la città, frequentando bar e alberghi malfamati, provando ostinatamente ad ingannare i baristi affinché gli servano quegli alcolici che non è autorizzato a bere ma che gli necessitano per ottenere la lucidità o la fumosità che gli abbisognano, raggirato e derubato da una prostituta e dal suo protettore, alla ricerca di un amico che lo aiuti nella sua folle idea di fuggire via da quella esistenza ‘schifa’. Solo che, sotto quella corazza di cinico strafottente, costruita per proteggersi da altre delusioni e sofferenze, abita un cuore buono che non sa resistere al desiderio di rivedere per l’ultima volta la sorellina che lo farà desistere dal suo progetto di fuga. Il vagabondare di Holden senza un progetto concreto nei due giorni prima di Natale, lo sconforto per l’ennesimo insuccesso, la paura della solitudine, il senso di frustrazione e inadeguatezza di stare in un mondo che non lo comprende,
le pressanti aspettative dei genitori, disgustato dalla ipocrisia, egoismo e crudeltà degli adulti (genitori, amici, insegnanti) condurranno Holden alla consapevolezza di non potercela fare da solo: la sua sfottente sicumera era solo apparenza. E un sentimento di angoscia per un figlio che sta per perdersi si impadronisce del lettore.
La conclusione? Che ad oltre cinquant’anni dalla sua stesura il libro di Salinger tocca un argomento che passa oltre le mode del momento per attestarsi come il più attuale e controverso su cui da sempre si è dibattuto, argomentato, cercato soluzioni ed elargito consigli a disperati genitori (ed insegnanti) in balia di indemoniati adolescenti ed Holden è un adolescente del 1947 disincantato, sfottente e apatico in tutto simile ad un coetaneo del 2024. Chi può dire di non aver provato, da adolescente, quel tumulto interiore che ci induceva ad ostentare un menefreghismo che rasentava la villania verso tutto e tutti? Chi di noi non ha urlato contro il proprio genitore che lo voleva ancora bambino mentre noi volevamo fare i grandi? Chi non ha provato, o anche solo pensato di farlo, a disattendere i divieti imposti dalla morale? Chi non si è perso per poi capire che volersi bene era il primo passo per la serenità? Ed io che ogni giorno mi confronto con un figlio adolescente ed ho due pezzi del mio cuore che stanno cercando la loro strada lontano da casa, posso affermare che la definizione ‘romanzo di formazione’ attribuita al ‘Giovane Holden’ da tanta critica letteraria, è sicuramente azzeccata nella misura in cui suggerisce al lettore, o meglio al lettore-educatore, l’idea che con i figli è meglio cercare il dialogo ed il confronto e che pensare di proiettare su di essi le nostre aspettative più alte può avere conseguenze perfino tragiche.
Ultima considerazione, giunta a libro chiuso, è stata la certezza della discriminazione che io pratico puntualmente e con disinvoltura verso quei tomi che non hanno una copertina attraente. Lo so che non si scarta un volume che non è bello esteriormente senza nemmeno dargli la possibilità di spiegarsi ma io purtroppo ci casco spesso. Così ‘Il giovane Holden’ di Salinger, qualsiasi altro libro prendessi della mia biblioteca, sia per riporlo che per iniziarlo, per vent’anni mi era rimasto sempre davanti agli occhi e con la sua copertina sciatta (il testo è l’edizione zero di una collezione e non ha alcun disegno, né un numero progressivo e sulla sovraccoperta non contiene nessuna indicazione relativa all’opera ed al suo autore) cercava disperatamente di attirare la mia attenzione. A mia discolpa devo però dire che la richiesta di una copertina completamente bianca venne fatta dallo stesso Salinger all’editore: così il libro sarebbe stato scelto per il contenuto e non per la copertina. Ma l’editore doveva vendere e quindi nel 1951 l’edizione originale presenta l’illustrazione di un cavallo della giostra citata nel romanzo; soltanto nell’edizione del 1991 la copertina è bianca e non riporta neanche la trama o la biografia dell’autore.
Anche voi scegliete i libri con le copertine più attraenti?
Quanto è stata difficile la vostra adolescenza?
Ditemi la vostra opinione qui sotto nei commenti.
Solo un po’ meno giovane del giovane Holden, senza rimpianti per la mia adolescenza, per fortuna passata, insofferente verso la scuola (perchè faccio l’insegnante), ambisco anch’io, pur dal divano del mio soggiorno, a sfuggire alla mia esistenza “schifa”.
Forse dovrei leggere il libro, per ricostruire il piano del protagonista e aggiustarne il tiro.
L’essere umano, in genere, tende a fuggire da una esistenza che per vari motivi non lo soddisfa. E mentre l’infanzia è la fase della spensieratezza e della leggerezza, l’adolescenza (a volte, non sempre) diventa la premessa di una vita adulta in cui si trascinano frustrazioni e complessi giovanili. Certo poi che se il destino ci porta a vivere buona parte della quotidianità di adulti dentro le mura di una scuola (luogo ‘di sofferenza giovanile’ per eccellenza) viene da pensare che dalle tribolazioni dell’adolescenza non si esca più. Il libro consiglio di leggerlo sicuramente perché ci aiuta a comprendere la sfera emotiva degli adolescenti, (quella che noi adulti tendiamo a criticare e demonizzare), per giungere ad un sentimento di pietà per la sorte di Holden.