Film 2012 Regia Haifaa Al-Monsour
Mi ero già occupata in passato del film ‘La bicicletta verde’ ma di recente questa storia mi è tornata in mente dopo la morte della giovane curda iraniana Mahsa Amini avvenuta in seguito al suo arresto da parte della polizia morale perché non indossava il velo ijab in modo corretto. In Iran, un paese di religione e governo islamico (uno Stato cioè in cui le norme religiose sono diventate legge dello Stato), episodi di violenza brutale vengono quotidianamente perpetrati da militari e civili nei confronti di donne che per strada si mostrano a capo scoperto o portano il velo in maniera non conforme.
Sorvolando sugli aspetti politici e religiosi dell’islamismo, sul modo di vivere nei paesi in cui dottrina religiosa e politica si fondono per diventare rigide regole di comportamento del cittadino, l’aspetto che più mi ha colpito è stata la scia emozionale che l’assassinio di Mahsa ha scatenato in tutto il mondo: una serie di manifestazioni di cordoglio, di solidarietà e di ‘sorellanza’ al popolo femminile iraniano espresse attraverso slogan muti, manifestazioni eclatanti come il taglio o la totale rasata di capelli in pubblico fino alle proteste violente davanti le ambasciate iraniane e per le strade. Così le donne del mondo hanno inviato il loro sostegno morale alle sorelle iraniane. Purtroppo, queste iniziative hanno provocato un aumento di violenza da parte del governo ai danni delle donne e ciò porterebbe a pensare che, forse a breve termine, cambiamenti di mentalità in paesi in cui i dettami religioso-politici del Corano sono legge non potranno ancora verificarsi. Pensino in un paese più ‘evoluto’ come l’Iran.
Differente la questione in Arabia Saudita dove esternazioni pubbliche di dissenso non solo non possono avvenire ma non possono nemmeno essere prese in considerazione. In tal senso quindi un film come ‘La bicicletta verde’ può essere considerato rivoluzionario perché racconta il tentativo pacato e privato di due donne arabe, madre e figlia, di dare una interpretazione più personale e libera alle antiquate regole morali imposte dalla religione islamica semplicemente pedalando una bicicletta per strada.
La regista Haifaa Al-Mansour al suo debutto cinematografico alla regia – il film è stato ideato, scritto e diretto da lei – è riuscita a lanciare un messaggio di speranza raccontando di una rivoluzione che avviene dentro le mura domestiche, di un cambiamento che anche in un paese rigidamente integralista come l’Arabia Saudita può avvenire forse se si parte dal singolo.
La stessa regista pur di girare il film ha diretto il suo cast chiusa dentro un furgone, guardando le riprese da uno schermo e dando direttive attraverso un walkie-talkie, dato che nei luoghi pubblici in Arabia Saudita le donne non posso interagire in maniera diretta con gli uomini.
La storia è quella di Wadjida una dodicenne che nella periferia di Riyadh, capitale dell’Arabia Saudita, vive la sua quotidianità tra gli insegnamenti bigotti e castigatori della scuola femminile integralista che frequenta e le ore passate dentro casa quando può sentirsi libera ascoltando musica pop americana, dipingendosi di azzurro le unghie dei piedi (perché questi saranno sempre coperti), costruendo braccialetti colorati che poi vende alle compagne e giocando fuori casa con il suo amico Abdullah. Attività tutte vietate dal Corano.
Wadjida mal sopporta le rigide regole che le stritolano la vita e con la naturalezza della sua indole ancora infantile, senza mai pensare di peccare, vive seguendo le sue passioni. Nella sua classe Wadjida è l’unica che non nasconde di mal sopportare le ore di religione, che quando le compagne recitano il Corano finge di ripeterlo a memoria e che al posto dei mocassini neri indossa le sneakers. Per questi suoi comportamenti ribelli Wadjida viene spesso umiliata e punita dalla direttrice della scuola, personaggio ambiguo che ostenta eccessiva rigidità nella osservanza delle regole morali che il Corano impone ma che sotto la tunica nera indossa tacchi a spillo e ha un amante che, scoperto dal padre in casa, fa passare per un ladro.
Sarà la bici con cui il compagno di giochi Abdullah vive in simbiosi a dare a Wadjida l’idea di comprare una bicicletta perché con essa lei sarà suo pari nella corsa. E così quando un giorno Wadjida vede passare in strada, sul tetto di un’auto, una bicicletta verde diretta ad un negozio della città decide che quella sarà la sua bicicletta. Al diniego della mamma di comprargliela perché ‘se le bambine vanno in biciletta da grandi non potranno avere figli’, Wadjida passa all’attacco e decide di raccogliere i soldi per comprarsela da sé. L’occasione le viene data da una gara di conoscenza del Corano indetta dalla scuola per la quale sono messi in palio ben mille Riyal di vincita. Intelligente e caparbia Wadjida inganna tutti con ingenua furbizia: dichiara alla Direttrice di pentirsi del suo passato di ribelle, ostenta a scuola un atteggiamento remissivo e devoto, a casa recita diligentemente con la mamma le preghiere e studia con dedizione le Sure del Corano che dovrà reciterà a memoria con ritmo cantilenante. Vinto il primo premio, alla domanda della Direttrice su cosa farà con i soldi della vincita con il candore della sua natura, Wadjida risponde che acquisterà la bicicletta. Arrabbiata per essere stata raggirata la Direttrice la punisce devolvendo la vincita di Wadjida alla causa Palestinese.
Ma non preoccupatevi ci penserà la mamma a risolvere tutto: abbandonata dal marito per sposare una seconda moglie che gli darà il figlio maschio che lei, divenuta sterile dalla nascita di Wadjida, non può dargli, umiliata nei suoi strenui tentativi di tenerselo in casa con patetici atteggiamenti sensuali e provocatori proprio da lei arriva una speranza di emancipazione e di felicità per sé e per Wadjida: la sera del secondo matrimonio di suo padre, al quale Wadjda e la madre non sono state invitate, la bambina riceve in regalo da sua madre la tanto desiderata bicicletta verde.
Candidato ai premi BAFTA 2014 nella categoria miglior film straniero ‘La bicicletta verde’ racconta una storia che ha il sapore di una bella favola da cui traspare una semplicità nella struttura del film tipico di un Paese con una cinematografia appena nata.